Sessista a mia insaputa
“Giuro, non ci ho mai capito niente. Ancora adesso ho degli incubi in cui la professoressa distribuisce i fogli con gli esercizi, io li leggo e cerco una via di fuga – ma prima vengo assalita da frustrazione, panico e sentimenti di morte. Le mie figlie sono come me: incapaci. L’ultimogenito invece…”
“Argh! Zitta!”
“Ho detto qualcosa che non va?”
Sì, l’ho fatto. Ho perpetuato il cliché che vuole le ragazze poco dotate nelle materie scientifiche mentre i ragazzi no, loro sono dei veri talenti naturali.
Il problema è che nella mia famiglia le cose funzionano davvero così: le figlie hanno dimostrato avversione alle materie scientifiche sin dalla scuola elementare, quando hanno iniziato ad annaspare dentro frazioni e divisioni a due cifre, e dopo le cose sono solo peggiorate. Davide, al contrario, intuisce immediatamente la logica sottesa ai problemi e si diverte a eseguire operazioni complesse a mente – per tacere delle sue innate abilità e competenze di coding che incoraggio e stimolo con esercizi mirati e…
No, hai ragione Chiara, la colpa è mia. Non me ne ero mai accorta prima, ma è così che è successo: involontariamente ho trasmesso alle figlie l’idea che fosse normale – fisiologico, quasi – arrendersi alle difficoltà nella matematica se si è dotate di cromosomi a doppia X. Ma come ho potuto?
“Se ti serve un alibi te ne offro uno io” – mi rasserena Chiara – “Devi sapere che l’ultima vera grande riforma scolastica è avvenuta nel 1922 con Giovanni Gentile, uno dei più importanti filosofi italiani dell’epoca. La riforma Gentile considerava il liceo classico, con la sua formazione centrata sulle materie letterarie, la scuola superiore principale rispetto alla quale tutte le altre non erano che parziali imitazioni. Era una scuola che strizzava l’occhio alla classe dirigente: secondo Gentile gli studi superiori dovevano essere “aristocratici, nell’ottimo senso della parola: studi di pochi, dei migliori” e di fatto solo gli studi classici davano accesso alla formazione universitaria.
L’imprinting è rimasto. Facci caso: la buona conoscenza delle materie letterarie di fatto è ancora uno status e aver studiato latino e greco un privilegio. Nessuno si vanterebbe di separare dittonghi e di non saper usare correttamente l’h nel verbo avere – per tacere dell’imbarazzo che proviamo quando inciampiamo in un congiuntivo – mentre non abbiamo alcun problema nel dichiarare le nostre difficoltà in matematica. Confessiamo la nostra incompetenza aspettandoci in cambio solidarietà ed empatia, che infatti arrivano”.
Vero. Ma ancora non mi sento giustificata.
“Perché non lo sei. Non si dovrebbe mai far credere a un bambino di avere un talento naturale verso una materia, perché si rischia di vederlo arrendersi alla prima difficoltà. Allo stessa maniera non si dovrebbe mai trasmettere neanche inconsapevolmente l’idea che ci siano materie precluse a una intelligenza media – che sia maschile o femminile.”
E dunque che atteggiamento dovrei tenere di fronte a un successo o un insuccesso? Davanti a una evidente predisposizione?
“Neutro. Assolutamente neutro. Te l’ho detto che la predisposizione è sopravvalutata? Che quello che davvero conta è l’esercizio, la costanza, la determinazione?”
Tigna omnia vincit. Sì, Chiara, l’hai detto.
Articolo tratto da grimildeblog.it