Il nobel giullare e la matematica
Il nobel giullare e la matematica.
Dario Fo, una vita passata sul palcoscenico e nelle piazze. Che sensazione le ha dato partecipare a un festival della Matematica?
È stato veramente sorprendente perché c’era un’attenzione e una partecipazione notevole, anche dove c’erano dei passaggi scientifici complicati. Tutto veniva reso con semplicità, come mi hanno insegnato alcuni professori del Politecnico, ad essere insomma divertenti. Questo è in linea con il fatto che la Matematica fatta in quel modo non è un dovere, è un “obbligo”. Se non si propone il gioco della Matematica se ne distrugge il significato. Veramente la Matematica, ricordo in particolare la Geometria analitica e quella proiettiva, è un gioco. Un gioco che, ovviamente, ha poi la possibilità di essere applicato in situazioni molto serie.
Lei ha citato alcuni insegnanti del Politecnico, dove era iscritto ad Architettura. Ha qualche ricordo di quel periodo?
Ricordo alcuni insegnanti, ma non vorrei dimenticarne altri. Quindi preferisco fare il malloppo. Ognuno di loro è stato importante nella mia formazione.

Comunque il suo amore per la Matematica è nato li, al Politecnico?
Si, era una delle materie che non amavo perché mi erano state insegnate in modo sbagliato. Mi erano state insegnate come nozioni, come meccanica delle nozioni. Poi, quando sono arrivato al Politecnico, mi hanno fatto capire che la Matematica è una scienza che supera la memorizzazione delle formule. Mi hanno insegnato a ricostruire le formule. Questa è stata una delle cose più intelligenti che abbiano fatto. La cosa importante è che poi ho applicato al teatro le possibilità date dal metodo di dimostrazione matematico, che unisce al rigore e alla precisione anche il paradosso e l’assurdo, ovvero il metafisico che esiste nella Matematica. Ho cominciato, imparando quando ero ancora al Liceo, la Geometria proiettiva e tutto quello che concerne la prospettiva e poi, quando sono arrivato all’Accademia…
L’Accademia?
Già, perché ho frequentato in contemporanea sia l’Accademia di pittura sia il Corso di Architettura al Politecnico. Cosi ho unito le due chiavi, le due situazioni, e ho capito per esempio quanta scienza esista nella scenografia, nello scorcio, nel paradosso delle distanze. E questo mi ha anche permesso di capire che la prospettiva non è una scienza drastica e assoluta, ma è una scienza nella quale si possono produrre delle varianti molto importanti. Varianti che si ritrovano in Raffaello, in Leonardo, in Michelangelo, in Mantegna, in moltissimi grandi pittori e grandi architetti.

Questo per quanto riguarda l’uso degli spazi ma lei ha detto che la Matematica è utile anche nella costruzione dello spettacolo, nella drammaturgia. Cosa intende?
È importante per lo studio dei ritmi, dei tempi dello spettacolo e, soprattutto, per rendersi conto di un particolare. Noi abbiamo un cervello che è fatto in un modo molto curioso. Ci sono delle parti che non hanno bisogno di un ragionamento per mettersi in azione. Per esempio, noi camminiamo ma non dirigiamo quasi mai il nostro camminare. Parliamo, muoviamo le braccia, le mani, facciamo espressioni ma quasi non ce ne rendiamo nemmeno conto. È qualcosa che sembra spontaneo. In verità non lo è, fa parte di una memoria che abbiamo dentro e che scatta in certi momenti. Il controllo di questa parte del nostro cervello è una scienza. Non come per un tic, che è qualcosa di estraneo. È una scienza importantissima di cui l’attore si deve appropriare.
Per concludere: in tutta la sua vita e adesso, in occasione del Festival di Roma, lei avrà incontrato diversi matematici. Se dovesse rappresentarli come figure teatrali, penso alle tipologie di clown piuttosto che alle maschere, come li descriverebbe?
Ho trovato dei matematici che non hanno assolutamente alcuna tipologia standard. Si può fare la caricatura di un medico o quella del dentista. Si può costruire la tipologia del modo di pensare di un farmacista o di un ingegnere, ma non di quella di un matematico. Il matematico è imprevedibile. Ho qui un libro sulla religione, scritto da un matematico mio amico (ndr.: sta parlando dell’ultimo libro di Piergiorgio Odifreddi), che dimostra proprio questa imprevedibilità. In fondo, era un matematico anche Leonardo. Piero della Francesca era un grande matematico, il suo trattato sulla prospettiva è un trattato di Matematica. Posso nominarne una sfilza di altri matematici. Anche Ruzante era un matematico. Anch’io mi sento un matematico prestato alla pittura.
Articolo di Marco Crespi tratto dal numero 2 di Alice & Bob, aprile 2007.