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Redooc intervistata in un bell’articolo di Marta Serafini sul Corriere.
Qui riprendo solo alcune parti con citazioni e dati interessanti per tutti, in particolare per noi genitori. Buona lettura e buone riflessioni!
Neelie Kroes, commissario europeo per l’agenda digitale: «La tecnologia è troppo importante per essere lasciata solo agli uomini».
Kate Losse: «Uno dei modi in cui i colossi del tech negano le loro responsabilità sulle discriminazioni di genere è affermando che le donne semplicemente non sono interessate alla tecnologia». Niente di più falso. Ma resta il fatto che negli Usa solo il 2 per cento delle donne si diploma in informatica, nonostante le studentesse di corsi scientifici siano il 57,1 per cento. In Europa, poi, la percentuale di donne assunte nel settore informatico è una su cento mentre il tasso di diplomate è al 20 per cento. E in Italia? La percentuale di studentesse di materie scientifiche è tra le più alte al mondo: ben il 50,3 per cento rispetto a una media Ue del 37,5. C’è poco da gioire, tuttavia. A fronte di grandi eccellenze, molte laureate finiscono per fare altro. Regola che vale anche per gli Usa. Lasciando da parte eccezioni come Marissa Mayer e Sheryl Sandberg, se si va a scorrere la lista del Time dei 40 personaggi più influenti a livello tecnologico si scopre che le donne sono il 2,75. Attraversando l’Oceano le cose non cambiano. In Europa solo 9 sviluppatori su 100 sono donne e appena il 19 per cento dei manager è di sesso femminile contro il 45 in altri settori dei servizi.
Poi ci si appoggia, come succede ormai sempre più di frequente, ad associazioni esterne come Parks che lavora per il rispetto dei diritti Glbt sul posto di lavoro, o addirittura a realtà interne come Nuvola Rosa, progetto nato proprio con l’obiettivo di spingere le ragazze a intraprendere percorsi di formazione tecnico-scientifici. «Fondamentale infatti è avviare programmi di mentoring , per creare modelli e punti di riferimento per dare vita a una futura classe dirigente al femminile», sentenziano tutti gli addetti ai lavori. Pensare però di affidare il processo di parificazione alle sole aziende è illusorio. «La maggior parte di questo lavoro viene fatto da realtà indipendenti e vicine al mondo femminista», spiega ancora Kate Losse. Da Girls Who Code all’Anita Borg Institute negli Stati Uniti sono parecchie le fondazioni che promuovono le materie STEM (acronimo inglese che sta per scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) tra le giovanissime.
La chiave di volta sta anche nel processo educativo. Non è un caso che la sorella di Mark Zuckerberg, Randy, in una delle sue prime interviste, abbia raccontato: «A lui compravano i videogame, io giocavo con le bambole». È dunque colpa dei nostri genitori che non ci hanno regalato il Commodore 64 se il codice Html ci pare arabo? O siamo noi stesse ad escluderci dalla partita? A leggere i dati, è difficile trovare una risposta. Per Christianne Corbett, co-autrice del rapporto Why So Few? Women in Science, Technology, Engineering and Math, gli stereotipi di genere si formano a quattro anni. Le bambine imparano che materie come l’ingegneria e la tecnologia sono prettamente maschili, mentre le femmine sono più portate, per esempio, all’insegnamento nelle scuole. Secondo il Dipartimento Usa per la Pubblica Istruzione, molto dipende dall’auto percezione delle ragazze rispetto alle loro abilità matematiche e scientifiche. «Se da piccola ti senti ripetere tutti i giorni che la matematica è una cosa da maschio, è difficile che te ne interessi», spiega Chiara Burberi, un passato da manager e oggi a capo di Redooc, piattaforma che promuove lo studio delle materie STEM nelle scuole. Facile infatti che i meccanismi educativi che impongono alle bambine di scegliere percorsi di studi «più leggeri» e «compatibili con la formazione di una famiglia» si trasformino in «profezie che si auto avverano». «Dobbiamo costruire dei modelli di riferimento per le ragazze che le portino ad abbattere le barriere del maschilismo e dell’esclusione – continua Burberi – perché è inutile nascondercelo: da bambini ci si identifica in quello che si ha intorno».
Già, e forse non sarà un caso che la madre di Ada Lovelace, una matematica inglese, l’abbia cresciuta insegnandole fin da piccola che i numeri sono meravigliosi, se si ha la pazienza di imparare a conoscerli.
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